Il comportamento abnorme e imprevedibile del lavoratore

Uno dei punti focali della difesa penale del datore di lavoro è, senza ombra di dubbio, la prova dell’interruzione del nesso causale tra l’omissione e l’evento.

E’ un dato di fatto che, quando viene avviato un procedimento penale per un reato connesso alla sicurezza sul lavoro, l’evento (ovvero il sinistro sul lavoro) si è certamente verificato, la condotta omissiva del datore di lavoro è spesso in tutto o in parte presente, stante l’enorme mole di misure cautelari che il datore è tenuto ad adottare per prevenire i sinistri.

La condotta omissiva (in altri termini, non avere messo in atto una misura di sicurezza) e l’evento (il sinistro sul lavoro) non sono però sufficienti a imputare la responsabilità del datore di lavoro ove tra omissione ed evento non vi sia un nesso di causalità. In termini più semplici quando l’infortunio non sia effettivamente dovuto alla mancata adozione di una misura di sicurezza.

La presenza di una condotta colposa (negligente, imprudente o imperita) del lavoratore, tuttavia, non è sufficiente a rendere immune da responsabilità il datore di lavoro, dal momento che le misure cautelari di sicurezza sul lavoro sono volte anche a prevenire sinistri dovuti ad un comportamento colposo del lavoratore.

La giurisprudenza, in merito, ha da tempo sancito che: “In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a
causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute
” (v. Cass. Sez.4, n.21587 del 2007).

Tale principio, all’atto pratico, rende tutt’altro che facile identificare quando un comportamento colposo del lavoratore possa dirsi “abnorme e imprevedibile” tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro, pur in presenza di omissioni di norme cautelari.

Un primo orientamento, eccessivamente rigoristico, riduceva il comportamento “abnorme e imprevedibile” a condotte tenute in ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e come tali imprevedibili da parte del garante.

L’orientamento più recente della Suprema Corte, tuttavia, ha sancito che “può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro” (v. Sez.4, n.5007 del 28/11/2008; Sez.4, n.15124 del 13/12/2016).

Sul punto è intervenuta a fare chiarezza la Corte di Cassazione con la Sentenza Num. 29585/2020 (che allego in forma integrale) sancendo il seguente principio: “la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia“.

Il caso concreto sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, riguardava un sinistro avvenuto nel corso della tosatura di una siepe, nel corso della quale, al fine di raggiungere la parte più alta della siepe, i lavoratori avevano collocato una sorta di gabbia sopra le forche di un muletto, per costruire così una sorta di punto d’appoggio al fine di lavorare sulla siepe a circa 3,70 metri di altezza. Uno dei lavoratori durante la tosatura cadeva a terra, subendo un trauma cranico che ne provocava l’immediato decesso.

La tesi della Pubblica Accusa, accolta in primo grado ed in appello, rinveniva la responsabilità del datore di lavoro, per omicidio colposo, nella colpa generica e nella specifica violazione dell’art.111, comma 1, lett.a) D.Lgs.n.81/2008, consistita, in particolare, nell’aver impartito ai lavoratori l’ordine di effettuare il taglio di una siepe alta metri 5 (lavoro “in quota”), senza fornire loro un’attrezzatura adeguata ed i presidi necessari per eseguire in piena sicurezza il lavoro in quota.

Nel corso dell’istruttoria emergeva come l’utilizzo del muletto e della gabbia non era mai avvenuto in precedenza ed era imputabile ad un’iniziativa autonoma dei lavoratori, tuttavia le pronunce di merito non ritenevano tale iniziativa tale da escludere la responsabilità del datore, ritenendo che lo stesso avesse colposamente ignorato (se non autorizzato) una prassi pericolosa nell’esecuzione dei lavori “in quota”.

La Corte di Cassazione, nel ritenere non dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il datore di lavoro fosse a conoscenza della prassi pericolosa adottata dai lavoratori, evidenziava come tale condotta, pur inserendosi nell’ambito dell’attività tipica del lavoratore (la tosatura delle siepi) era tanto imprevedibile da generare un rischio eccentrico rispetto alla sfera di rischio dominabile dal datore di lavoro.

La Corte, inoltre, nel censurare il ragionamento logico seguito dai giudici del merito, evidenzia come il canone legislativo della prova della responsabilità “oltre ogni ragionevole dubbio”, impone di giungere ad una conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale e, quindi, alla “certezza processuale” che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all’agente come fatto proprio. Nel caso di specie i giudici dei precedenti gradi non avevano seguito correttamente tale iter logico, avendo operato l’inammissibile presunzione della conoscenza della condotta pericolosa da parte del datore di lavoro, senza indicare la prova della certezza di tale consapevolezza.

Avv. Matteo Sacchi

Avvocato esperto in diritto penale d’impresa, in particolare sugli infortuni e sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Sono un Avvocato del foro di Milano e mi occupo principalmente di sicurezza sui luoghi di lavoro. Aiuto gli imprenditori a risolvere i loro problemi penali riguardanti l’infortunio di un loro dipendente.