Infortunio sul lavoro – conoscenza delle prassi elusive

Troppo spesso la giurisprudenza tende a sanzionare il datore di lavoro sulla sola base di “presunzioni di conoscenza”, senza alcuna concreta analisi dell’esistenza o meno di una colpa dello stesso.

Sul punto è intervenuta una recente sentenza della Suprema Corte (sentenza 13 gennaio 2021, n. 1096 della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione), sancendo il principio secondo cui la conoscenza di prassi elusive delle norme infortunistiche tenute dai lavoratori, non comporta la responsabilità automatica del preposto, se non si dimostri, con certezza, che egli ne fosse a conoscenza.

Nel caso concreto, un addetto al reparto macelleria di un supermercato, nell’utilizzare una macchina sega-ossi, non impiegava i mezzi di protezione collettivi messi a disposizione dell’azienda e si provocava una ferita grave.

La colpa del preposto (nel caso di specie il direttore del punto vendite), nell’ipotesi accusatoria, consisteva nell’omessa vigilanza sull’utilizzo dei mezzi di protezione da parte del lavoratore, da ritenersi provata sulla sola base della posizione di garanzia rivestita e nel verificarsi dell’evento.

La responsabilità del preposto veniva riconosciuta in primo grado ed in appello, tuttavia la Suprema Corte, rilevando che l’istruttoria aveva dimostrato che il direttore del punto vendite rivestiva tale incarico dal soli cinque giorni, il che rendeva tutt’altro che certo che lo stesso avesse potuto constatare la presenza di prassi elusive da parte dei lavoratori.

Nel rilevare l’assoluta necessità di dimostrare, in concreto e non in astratto, l’effettiva possibilità per il responsabile di osservare la regola cautelare imposta dalle norme, la Corte censura il giudizio dei giudici del merito, rilevando che il versante oggettivo della colpa (consistente nella posizione di garanzia rivestita e nel verificarsi dell’evento) non può da solo fondare un addebito di responsabilità penale.

La colpa, infatti ha anche un profilo soggettivo, consistente nella concreta esigibilità della condotta da parte del soggetto agente.

A questo proposito la Suprema Corte ha più volte sancito: “Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in sostanza, nell’esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che si colloca nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente. A questo profilo della responsabilità colposa la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato” (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano Anna Antonia, Rv. 276797; Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, P.G. in proc. Barberi ed altri; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, pc in proc. Bordogna e altri)

Avv. Matteo Sacchi

Avvocato esperto in diritto penale d’impresa, in particolare sugli infortuni e sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Sono un Avvocato del foro di Milano e mi occupo principalmente di sicurezza sui luoghi di lavoro. Aiuto gli imprenditori a risolvere i loro problemi penali riguardanti l’infortunio di un loro dipendente.