Nella recente Sentenza del 15 settembre 2021, n. 33976 (allegata per intero – all. 1), la Suprema Corte interviene ancora una volta a definire il comportamento “abnorme” del lavoratore, tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro per il sinistro avvenuto nel corso dell’attività lavorativa.
Nel corso degli anni la giurisprudenza si è espressa più volte per definire in che cosa consista effettivamente il comportamento del lavoratore talmente “eccezionale ed imprevedibile” da produrre un rischio assolutamente non preventivabile e quindi non prevedibile dal datore di lavoro, tanto da escludere la sua responsabilità. All’atto pratico, tuttavia, risulta spesso difficile individuare il limite tra la condotta colposa (negligente, imprudente o imperita) ma comunque prevedibile del lavoratore ed il comportamento “abnorme”, che invece esclude la responsabilità penale.
IL FATTO:
Come sempre ritengo indispensabile esaminare il caso sottoposto all’attenzione della Corte: nel caso di specie un operaio molto esperto, addetto alle operazioni di trinciatura di un terreno adibito all’allevamento di bufali, conduceva una macchina trinciatrice su un terreno erboso non ancora ripulito, durante il taglio dell’erba un filamento metallico, presente sul terreno, si arrotolava sul rotore della trinciatrice ed una particella metallica si spezzava e veniva proiettata sul viso del lavoratore, colpendolo all’altezza dell’occhio destro e provocandone il decesso per emorragia celebrale.
Il datore di lavoro veniva imputato di omicidio colposo aggravato, per non essersi accertato che il terreno fosse accuratamente ripulito, prima di permettere al lavoratore di azionare la trinciatrice. In particolare sul terreno risultava presente del materiale di scarto di una lavorazione edile che, se fosse stato effettuato un sopralluogo, sarebbe potuto essere rimosso, evitando la morte del lavoratore.
Il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello riconoscevano la responsabilità del datore di lavoro, riconducendola alla colpa specifica derivante dalla violazione degli artt. 3 e 4, comma 1, d. lgs. n. 626 del 1994 (in particolare nell’omessa valutazione dei rischi connessi all’attività lavorativa e la scelta di uno strumento inadeguato). La Corte d’appello, in particolare, escludeva espressamente che il comportamento del lavoratore potesse considerarsi “abnorme”, dal momento che il lavoratore aveva utilizzato uno strumento idoneo al lavoro che gli era stato affidato (se il terreno fosse stato previamente ripulito).
La Suprema Corte, tuttavia, nella Sentenza in esame, evidenzia come, prima dell’infortunio, il datore di lavoro ed il lavoratore, al termine del sopralluogo del terreno, avevano concordato di eseguire le operazioni di pulizia mediante un c.d. “RIP” trainato da un trattore, tale strumento, essendo munito di “zanne” che si infilano nel terreno, avrebbe permesso di ripulire il terreno dai materiali inerti che erano stati rinvenuti fra l’erba alta.
La Cassazione rileva altresì come il lavoratore, malgrado la giovane età, fosse dotato di notevole esperienza, tanto che allo stesso veniva lasciata ampia autonomia nell’esecuzione delle opere, proprio tale considerazione portava ad escludere che il datore di lavoro potesse prevedere la scelta del lavoratore di disattendere le direttive impartite e di eseguire le operazioni di pulitura con un macchinario (la trinciatrice) che non era neppure presente in azienda.
In effetti, a riprova dell’estemporaneità della decisione del lavoratore, si evidenziava come lo stesso avesse chiesto in prestito la trinciatrice ad un vicino, appena mezz’ora prima dell’esecuzione delle operazioni.
LA MASSIMA:
Nell’escludere la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio mortale, la Suprema Corte ribadisce il principio, più volte affermato, secondo cui: “Per concludere sul punto, partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia“.
Alla luce degli elementi previamente esposti, quindi, la Suprema Corte esclude la prevedibilità dell’evento, rilevando: “Il giorno del fatto, l’utilizzazione di un macchinario pericoloso per il tipo di terreno su cui operare, diverso da quello concordato, acquisito solo pochissimo tempo prima della lavorazione e all’insaputa del datore di lavoro, da parte di un dipendente di notevole esperienza, costituivano fattori – complessivamente considerati – di natura eccezionale ed imprevedibile, frutto di un’iniziativa autonoma, che si svolgeva in un ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e che introduceva un rischio nuovo non preventivabile ed evitabile.
La natura abnorme della condotta del lavoratore, pertanto, interrompeva il rapporto di causalità tra le omissioni contestate nell’imputazione e l’evento mortale, per cui, restando assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste“.