
In una recente pronuncia del 31/03/2021 (Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2021, n. 12137 – che potete scaricare in calce all’articolo), la Suprema Corte torna ad affrontare la tematica del versante soggettivo della colpa addebitabile al datore di lavoro.
Per comprendere immediatamente la tematica è utile, come sempre, partire dall’esame del caso concreto sottoposto all’esame della Corte.
Nel caso di specie, un addetto al servizio di pulizia di un supermercato, nel raccogliere con le mani dei frammenti di vetro si cagionava una lesione del tendine, riportando una malattia guaribile in oltre 40 giorni.
Nel corso dell’istruttoria veniva appurato che all’interno dell’azienda erano disponibili dei guanti anti-taglio, ma che il datore di lavoro, scientemente, non li aveva forniti agli addetti alle pulizie, malgrado il rischio di taglio fosse contemplato all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi, preferendo impartire ai lavoratori la direttiva di evitare ogni contatto diretto con superfici taglienti.
La tesi della Pubblica Accusa imputava così al datore di lavoro (nel caso di specie il Responsabile Area del supermercato): “di non avere, nella sua qualità di responsabile dell’area e delegata di primo livello anche in materia antinfortunistica, «disposto, preteso e controllato, anche effettuando la dovuta ed adeguata vigilanza, che i lavoratori utilizzassero in modo corretto i dispositivi di protezione presenti nello stabilimento».
La tesi della Pubblica accusa viene accolta in primo e secondo grado, sulla base della sola considerazione della qualifica dell’imputata di “Responsabile Area”, qualifica a cui le Corti di merito ricollegavano automaticamente la conoscenza del comportamento del lavoratore non conforme alle direttive impartite (in sostanza la prassi di raccogliere con le mani oggetti taglienti) e la conseguente responsabilità per non avere prevenuto il sinistro.
La Suprema Corte, in primis, censura la Sentenza appellata, evidenziando come il datore di lavoro abbia diritto di fare affidamento sul rispetto delle proprie direttive da parte dei lavoratori.
Ne consegue che, qualora non vi sia la prova certa che la violazione delle direttive datoriali (direttive che avrebbero impedito il sinistro) fosse a conoscenza del datore di lavoro, non è possibile imputare allo stesso alcuna violazione di regole cautelari.
La Cassazione, poi, riaffermando un principio più volte ribadito anche quest’anno, evidenzia come “Nel caso di specie, afferente ad un’impresa di grandi dimensioni, viene, altresì, in rilievo il cosiddetto principio di esigibilità. La colpa ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare.”
L’applicazione di tale principio nel caso concreto, comporta che “un’eventuale condotta omissiva al riguardo non può esserle ascritta laddove non si abbia la certezza che fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’avesse colposamente ignorata. Invero, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte di questi di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso” (cfr.Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro, Rv. 273568; Sez. 4, n. 24462 del 6/5/2015, Ruocco, Rv. 264128; Sez. 4, n. 5404 del 8/1/2015, Corso e altri, Rv. 262033).